domenica 13 maggio 2012

Vinnalunga '71 2006, Lamoretti



Colli di Parma non vuol dire solo vini frizzanti.
Tra i filari di malvasia, barbera, bonarda e lambrusco, ci sono anche cabernet sauvignon e merlot. Ok, lo so, non se ne può più degli autoctoni franchi, onnipresenti su tutto il territorio nazionale e non solo.
Ma qui la storia ha un senso.
Il toponimo stesso della vigna parla chiaro, anno d’impianto 1971, ben prima delle mode degli ultimi anni.
Siamo di fronte ad una vigna di 40 anni, allevata a guyot, con potature rigorose e basse.
Il vino matura in barrique francesi per 12 mesi e si affina in bottiglia per altri 12.
Il colore è rubino cupo, impenetrabile, con riflessi granato.
C’è un sacco di materia che colora il bicchiere, si è anche depositata sul vetro della bottiglia e crea un deposito cosistente sul fondo.
Il naso è subito etereo, poi frutti di bosco sottospirito, speziatura dolce di vaniglia e cannella, seguono cuoio, tabacco, liquirizia, erbe aromatiche come rosmarino e bacche di ginepro su un fondo balsamico.
L’ingresso in bocca è deciso, tra alcolicità e freschezza, si allarga morbido ma non si stende, resta una bella tensione.
Il tannino è robusto, maschio.
Chiude lungo su ritorni balsamici.
Un vino tutt’altro che scontato. Certo non pecca di una certa rusticità che si arrotonderà con l’affinamento, ma ha carattere da vendere.
Le vette raggiunte da questi vitigni in patria sono lontane, ma questa è un’altra storia.
Una storia fatta di viticoltori e piccole cantine ed una gastronomia che, per tradizione, si abbina solo a vini con le bolle.
Bisogna salire di un poco verso la montagna, per imbattersi nei cinghiali, che trovano un abbinamento perfetto con il Vinnalunga ’71, quando finiscono stracotti con la polenta.
Direi che anche con un bel pezzo di parmigiano stagionato 30-36 mesi, magari di collina, non dovrebbe essere male.

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