lunedì 16 luglio 2012

Rossese Style 2012

      

Quando Massimo Sacco mi ha invitato alla manifestazione, non avevo la minima idea dove fosse Bajardo,come penso la stragrande maggioranza degli appassionati di vino.
Una foto del paese mi ha colpito e, come a volte mi capita, parto in quarta senza ragionare troppo, quindi decido di andare.
Si parla di Rossese, vitigno che non conosco, è il momento e l’occasione di imparare.
Il paese si trova nell’entroterra del ponente ligure, alla spalle di Sanremo.
Adagiato su uno spuntone roccioso a 1000 metri di altitudine, a metà strada tra Alpi Marittime e il mare, come un faro ad illuminare la zona di produzione del Rossese.
Percorrendo le stradine che portano ai paesini dell’entroterra, veri gioielli, ci si rende conto della tenacia di un popolo che ha testardamente abitato queste valli aspre, che appaiono come unghiate di orso su un tronco secco.
E’ già cosa impegnativa abitarci, ma impensabile coltivarci vite ed ulivi.
I liguri ci sono riusciti, con risultati incredibili.
Le viti, coltivate su strette terrazze sostenute da muretti a secco, sono spesso molto vecchie, anche di 100 anni ed allevate ad alberello.
Il vino che se ne ricava è di innata eleganza.
La degustazione spaziava su 16 campioni, rigorosamente alla cieca, delle annate 2010 e 2011 di vari produttori, quali: Rondelli, Kà Mancinè, Du Nemu, Mario Muratore, Giuseppina Tornatore, Leonardo Taggiasco, Poggi dell’Elmo, Foresti, Maccario-Dringenberg, Tenuta Anfosso.
Ho avuto l’impressione che, durante la degustazione, alcuni miei vicini riconoscessero lo stesso i vini, benché coperti, tale è la tipicità delle varie microzone di produzione e dei produttori.
L’impressione di fondo che ho avuto è quella di un vino di grande stoffa, con colori brillanti attorno al rubino, che variano di riflesso dal violaceo al granato.
I profumi sono fini, con florealità di rosa canina e geranio, fruttosità di ribes rosso, lampone, fragola e ciliegia, con note di confettura e sottospirito in alcuni superiore 2010, che presentano anche delicate note di speziatura di pepe bianco e zenzero.
Vegetalità di macchia mediterranea e mineralità di pietra spaccata gli danno quella spinta in più che molti rossi non hanno.
La maggioranza dei campioni presentava una grande componente acido-sapida, ben bilanciata da glicerina e alcol.
Tannini fini e molto fitti completano l’assaggio.
Vino già godibilissimo da giovane, con un buon potenziale di invecchiamento soprattutto per la tipologia superiore.
Dalle mie esperienze precedenti, inizialmente, ho notato alcune similitudini col Pinot Nero, dovute soprattutto all’eleganza dei colori e a certe note particolari.
Poi, col tempo, sono emerse le differenze.
Il Rossese ha le sue tipicità, uniche, come unico è il suo territorio.
Dopo la degustazione, la serata si è chiusa con la cena sulla terrazza naturale dietro le rovine della chiesa di S. Nicolò, con un panorama splendido sulle Alpi Marittime.
Una gran bella esperienza alla scoperta di un entroterra poco conosciuto e di un vino unico, prodotto in piccole quantità.
Un ringraziamento a Massimo per avermi “guidato” da quelle parti, al sindaco di Bajardo per aver reso possibile l’evento, ai produttori per il lavoro difficile che fanno e ad Elizabeth Gabay e suo marito David, per la bella compagnia durante la cena.

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